Ci osserva, ci analizza… e ci anticipa?
Immagina di camminare per strada. Nulla di strano, finché non ricevi un messaggio sul telefono: “Attenzione, evita questa zona: potresti essere coinvolto in un comportamento sospetto.” Nessuno ti ha seguito fisicamente, eppure qualcuno – o meglio, qualcosa – ti ha osservato, analizzato, e ha “previsto” cosa stavi per fare. Non è un film di fantascienza: è uno scenario già in fase di test in molte parti del mondo. È la sorveglianza predittiva, l’idea che l’intelligenza artificiale possa anticipare le nostre azioni prima ancora che le compiamo.
Sembra una trovata da serie TV, ma è una tecnologia reale. E se da un lato promette maggiore sicurezza e prevenzione, dall’altro solleva interrogativi profondi sulla nostra libertà individuale, sulla privacy e sulla fiducia nei confronti di sistemi che decidono per noi. Ma cosa significa davvero sorveglianza predittiva? Come funziona? E quanto è diffusa?
Cos’è la sorveglianza predittiva?
La sorveglianza predittiva è l’insieme di tecnologie che utilizzano dati comportamentali e modelli statistici per prevedere il comportamento umano, con l’obiettivo di prevenire rischi, crimini o eventi considerati “devianti”. Si basa su algoritmi di machine learning che analizzano enormi quantità di dati: geolocalizzazione, cronologia web, acquisti, contatti, abitudini quotidiane. Ogni azione lascia una traccia. E ogni traccia diventa una variabile da cui inferire cosa potremmo fare dopo.
A differenza della sorveglianza tradizionale, che osserva ciò che è accaduto, quella predittiva cerca di anticipare. È una logica probabilistica: se una persona ha fatto “A” e “B”, allora c’è un’alta possibilità che faccia “C”. Il problema? C non è ancora accaduto, ma potrebbe già influenzare come verremo trattati.
Dove entra l’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale è il cuore di questo processo. I modelli predittivi non si limitano a raccogliere dati: li elaborano, li confrontano con migliaia di altri profili simili e generano punteggi di rischio. Alcuni sistemi già in uso in ambito giudiziario o di polizia classificano i cittadini secondo una scala di pericolosità, anche in assenza di crimini commessi.
Uno dei casi più noti è il sistema PredPol, utilizzato in diverse città americane per prevedere in quali quartieri potrebbero verificarsi dei reati, basandosi sui dati storici di criminalità. Tuttavia, uno studio condotto dall’Università di Chicago ha rivelato che questi sistemi possono replicare i bias sociali già presenti nei dati, finendo per discriminare intere fasce di popolazione. I ricercatori hanno sviluppato un algoritmo in grado di prevedere i crimini con una settimana di anticipo, ma hanno osservato che la risposta della polizia era più intensa nei quartieri benestanti, a discapito delle aree meno abbienti. Questo evidenzia come l’uso di dati storici possa perpetuare disuguaglianze esistenti nel sistema di giustizia penale. Fonte: University of Chicago
Ne abbiamo parlato anche nel nostro articolo “IA e Sorveglianza: Chi Controlla Chi?”, dove emerge il rischio che l’uso dell’AI per controllare diventi un’arma invisibile di potere, più difficile da riconoscere, ma molto efficace nel limitare la libertà personale.
Implicazioni concrete nella vita reale
In Cina, il sistema di social scoring monitora e valuta il comportamento dei cittadini: dai ritardi nel pagamento delle bollette alla condivisione di contenuti online. Chi ottiene un punteggio basso può essere penalizzato nell’accesso ai servizi pubblici, ai trasporti o ai prestiti bancari.
Negli Stati Uniti, alcuni software usati nel sistema giudiziario – come COMPAS – valutano la probabilità che un imputato commetta nuovi reati. E questi punteggi possono influenzare la durata della pena o la possibilità di libertà vigilata.
Anche in Europa esistono strumenti predittivi, soprattutto nell’ambito della sicurezza informatica, dove le AI analizzano il traffico di rete per prevenire attacchi prima ancora che accadano. In questo caso, però, l’applicazione è spesso più accettata, perché non riguarda direttamente i comportamenti umani.
Ma il confine è sottile. Quando un algoritmo prevede un comportamento e questa previsione viene usata per agire prima che il comportamento si realizzi, che fine fa la presunzione di innocenza? E la nostra capacità di cambiare, di sorprenderci, di uscire dai nostri schemi?
Domande frequenti (FAQ)
La sorveglianza predittiva è già realtà?
Sì, in molte forme. Alcune sono limitate alla sicurezza informatica, altre alla polizia predittiva, altre ancora al monitoraggio sociale.
È legale?
Dipende dal contesto. In Europa, il GDPR impone limiti chiari al trattamento automatizzato dei dati, ma l’evoluzione è più rapida delle normative.
È sempre negativa?
No. Può essere utile, ad esempio, per prevenire suicidi, violenze domestiche o atti terroristici. Ma va sempre bilanciata con diritti e libertà fondamentali.
Posso evitarla?
Difficilmente. Ma puoi limitarla scegliendo strumenti digitali più rispettosi della privacy e sostenendo regole chiare e trasparenti.
Verso una cultura del limite algoritmico
La sorveglianza predittiva pone domande che nessuna tecnologia può risolvere da sola. Domande di giustizia, di libertà, di responsabilità. Se permettiamo all’intelligenza artificiale di anticipare ogni nostro gesto, rischiamo di rinunciare alla nostra imprevedibilità, che è una delle qualità più umane che esistano.
Serve un’etica della previsione. Serve trasparenza su come funzionano questi algoritmi, su chi li controlla, su quali dati usano. Ma serve anche un cambiamento culturale: accettare che il rischio non può essere eliminato del tutto senza eliminare anche la libertà.
L’AI ci offre strumenti straordinari, ma non dobbiamo accettare ogni loro uso senza pensarci. Possiamo costruire un futuro dove la previsione aiuta senza opprimere, dove l’AI potenzia l’essere umano senza limitarlo. Sta a noi decidere in che direzione andare.
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