Il paradosso dell’efficienza nell’era AI
Viviamo in un tempo in cui fare più cose contemporaneamente è considerato un segno di efficienza. Rispondiamo a un’email mentre ascoltiamo un podcast, prendiamo appunti su un documento condiviso mentre una notifica ci segnala che l’assistente AI ha generato un riassunto della call precedente. Tutto sembra fluido, rapido, integrato. Ma dentro la nostra mente, qualcosa si incrina.
Il multitasking digitale, tanto esaltato quanto diffuso, è in realtà una costruzione fragile. E l’intelligenza artificiale, lungi dal renderci più lucidi, rischia di amplificare questa illusione.
L’AI ci aiuta… o ci frammenta?
La promessa implicita dell’AI è semplice: fare al posto nostro ciò che richiede tempo, attenzione, memoria. Ma in questo processo delegativo, succede spesso che invece di liberarci, ci moltiplichiamo. Ogni AI con cui interagiamo apre una nuova finestra mentale. Un flusso aggiuntivo che richiede comunque supervisione, controllo, decisione.
Studi condotti dal MIT hanno dimostrato che il cervello umano non è progettato per gestire più attività complesse nello stesso momento. Quello che chiamiamo “multitasking” è spesso solo task switching, cioè passaggi rapidi tra un compito e l’altro. E ogni switch comporta un costo cognitivo.
Quando la mente diventa una dashboard
La differenza tra ciò che l’AI può fare e ciò che ci fa fare è sottile, ma cruciale. Quando un assistente digitale ci compila l’agenda, ci sentiamo più leggeri. Ma quando lo stesso sistema propone risposte, analizza sentimenti o suggerisce revisioni, diventiamo supervisori multitasking. Il tempo guadagnato si riempie subito di nuove micro-attività, che saturano la mente.
In un articolo recente abbiamo esplorato come l’AI stia cambiando la nostra comunicazione. Anche lì, la velocità porta con sé il rischio della superficialità. L’efficienza percepita si trasforma in sovraccarico.
Fatica decisionale e ansia da performance
Questa dinamica è visibile soprattutto nel lavoro. Le piattaforme intelligenti promettono ambienti integrati, ma ogni strumento richiede una finestra, un feedback, una decisione. Secondo Harvard Business Review, il fenomeno della fatica decisionale digitale è in aumento: più strumenti usiamo, più aumentano ansia e senso di inefficacia.
Il multitasking diventa uno status mentale permanente, in cui la concentrazione profonda è un lusso raro.
Un uso consapevole è possibile
L’intelligenza artificiale ha il potenziale per restituirci spazi mentali, se usata con intenzione. Esistono strumenti progettati per semplificare, non per moltiplicare. App che limitano le notifiche, assistenti che riducono il rumore, interfacce pensate per la concentrazione.
Allenare la monotasking è un atto di resistenza. Significa riscoprire la profondità del pensiero lineare, la lentezza del processo creativo, la possibilità di non essere sempre reattivi.
Ripensare la cultura della produttività
Il multitasking digitale non è solo una questione tecnica, ma anche psicologica e culturale. Smettere di confondere attività con produttività è un passo necessario. L’AI non può sostituire la concentrazione umana. Può però aiutarci a proteggerla, se glielo permettiamo.
La nostra mente ha bisogno di vuoti, di silenzi, di pause. Se l’intelligenza artificiale può contribuire a creare questi spazi, allora sarà davvero una tecnologia al nostro servizio. In caso contrario, continueremo a rincorrere un’efficienza che esiste solo nei nostri calendari, non nella nostra consapevolezza.
Link esterno autorevole:
Harvard Business Review – You Can’t Multitask. So Stop Trying.
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