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🏠 Home › Etica e società › Come TikTok e Instagram usano l’intelligenza artificiale: l’algoritmo decide cosa vediamo?

Come TikTok e Instagram usano l’intelligenza artificiale: l’algoritmo decide cosa vediamo?

📅 24 Aprile 2025 👤 Manuel 📂 Etica e società ⏱️ 9 min di lettura
Algoritmo AI osserva feed social colorati

Gli algoritmi decidono cosa vediamo sui social media

Scorriamo con un dito e, come per magia, appaiono video perfetti per noi. Ma come fa TikTok a sapere che ci piacciono i gatti buffi o i tutorial di cucina? E perché Instagram continua a proporci post su un tema che abbiamo solo sfiorato con uno sguardo?

La risposta sta nell’intelligenza artificiale. Gli algoritmi che regolano i feed dei social media non sono semplici sequenze di codice: sono sistemi complessi che imparano dai nostri comportamenti per offrirci contenuti personalizzati. Una comodità, certo. Ma anche un potenziale strumento di manipolazione che merita di essere compreso a fondo.

Come funzionano i sistemi di raccomandazione

Ogni volta che mettiamo un like, restiamo più a lungo su un post, o guardiamo un video fino alla fine, stiamo dando un’informazione preziosa a un sistema di raccomandazione. Questo sistema memorizza il nostro comportamento, lo confronta con quello di milioni di altri utenti e cerca di capire cosa potremmo voler vedere dopo.

È così che si costruisce la famosa “bolla personalizzata”: un flusso continuo di contenuti su misura, ottimizzati per tenerci incollati allo schermo. L’algoritmo di TikTok, ad esempio, considera oltre 1.000 segnali diversi per ogni utente: dal tempo di permanenza sui video alla velocità di scroll, dalle interazioni sociali agli orari di utilizzo dell’app.

Instagram utilizza un approccio simile ma più stratificato, combinando i dati del feed principale con quelli delle Stories e dei Reels. Il risultato è un ecosistema di contenuti che sembra conoscerci meglio di noi stessi.

L’intelligenza artificiale dietro la personalizzazione

La tecnologia che rende possibile tutto questo si basa su algoritmi di machine learning sempre più sofisticati. Questi sistemi utilizzano reti neurali profonde capaci di identificare pattern complessi nei nostri comportamenti digitali.

TikTok, in particolare, ha sviluppato un algoritmo chiamato “For You Page” che combina collaborative filtering (suggerimenti basati su utenti simili) e content-based filtering (analisi delle caratteristiche dei contenuti). L’intelligenza artificiale analizza non solo cosa guardiamo, ma anche come lo guardiamo: i micro-movimenti del dito, le pause, perfino l’angolazione del telefono.

Instagram ha integrato l’IA in modo ancora più pervasivo. Oltre ai contenuti del feed, l’algoritmo influenza anche i risultati di ricerca, i contenuti suggeriti in Explore e persino l’ordine delle Stories. Come abbiamo approfondito nel nostro articolo su IA e social media: algoritmi che ci guidano, questi sistemi stanno ridefinendo il modo in cui consumiamo informazioni online.

Esempi concreti di manipolazione algoritmica

Il problema non è tanto l’efficienza di questi sistemi, quanto gli effetti collaterali indesiderati. Rischiamo di essere esposti solo a opinioni simili alle nostre, rafforzando convinzioni senza confronto. Nei casi peggiori, possiamo essere portati verso contenuti estremi, complottisti o manipolatori, non perché l’algoritmo “voglia” farlo, ma perché ha imparato che quel tipo di contenuti ci trattiene di più.

Un’indagine del Center for Humane Technology ha evidenziato come le piattaforme social incentivino inconsapevolmente la diffusione di contenuti polarizzanti. TikTok, ad esempio, è stato criticato per come i suoi sistemi possano spingere rapidamente verso video radicali o teorie del complotto se l’utente mostra anche un minimo interesse iniziale.

Facebook (ora Meta) ha ammesso che i propri algoritmi tendono a favorire contenuti che generano “engagement”, anche quando questo significa amplificare rabbia o indignazione. Nel 2021, la testimonianza di Frances Haugen al Congresso americano ha rivelato come l’azienda fosse consapevole di questi effetti già dal 2018.

Privacy e raccolta dati: il prezzo della personalizzazione

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Tutto questo accade grazie a una sofisticata combinazione di machine learning, analisi predittiva e raccolta massiva di dati personali. E qui entra in gioco la questione della privacy. I dati che cediamo ai social – anche solo interagendo con un contenuto – vengono elaborati per ricostruire gusti, fragilità, tendenze emotive.

TikTok raccoglie oltre 380 tipi di dati diversi sui suoi utenti, secondo un’analisi del cybersecurity researcher Felix Krause. Instagram non è da meno: attraverso il suo browser integrato, può tracciare ogni click, ogni movimento del cursore, persino i testi digitati ma non inviati.

L’obiettivo dichiarato è mantenerci attivi e presenti il più a lungo possibile. Ma a quale prezzo? Come abbiamo esplorato nel nostro articolo su focus e attenzione nell’era digitale, questa iperconnessione sta avendo effetti profondi sulla nostra capacità di concentrazione.

Bias algoritmici e discriminazione digitale

A preoccupare non è solo la profilazione. Anche i cosiddetti bias algoritmici giocano un ruolo cruciale. Gli algoritmi non sono neutrali: apprendono da dati umani, spesso imperfetti. Se un certo tipo di contenuto è stato premiato in passato, continuerà a esserlo, rafforzando tendenze già presenti e penalizzando diversità di visione.

È così che si costruiscono dinamiche che favoriscono alcuni gruppi e ne marginalizzano altri. Instagram, ad esempio, è stato accusato di penalizzare contenuti creati da persone di colore o appartenenti a minoranze. TikTok ha ammesso di aver utilizzato politiche che limitavano la visibilità di creator con disabilità o “non convenzionali” per evitare bullismo, creando però di fatto una forma di censura discriminatoria.

Un studio del MIT Technology Review ha dimostrato che l’algoritmo di TikTok tende a mostrare contenuti diversi a utenti di etnie diverse, anche quando hanno interessi simili, perpetuando divisioni sociali attraverso la personalizzazione.

Punti chiave da ricordare

  • I nostri comportamenti digitali alimentano algoritmi sempre più sofisticati che creano bolle personalizzate di contenuti
  • La personalizzazione può portare a radicalizzazione quando privilegia contenuti che generano forti reazioni emotive
  • I dati raccolti vanno ben oltre like e condivisioni, includendo micro-comportamenti e pattern psicologici
  • I bias algoritmici riflettono e amplificano pregiudizi umani, creando discriminazioni sistemiche nel mondo digitale

Domande frequenti

Come posso ridurre l’influenza degli algoritmi sui miei feed? Diversifica attivamente le tue interazioni, segui account con opinioni diverse e utilizza regolarmente la funzione “Non interessato” quando appropriato.

I social media sanno davvero così tanto di me? Sì, raccolgono centinaia di punti dati diversi, spesso incrociando informazioni da più fonti per creare profili dettagliati dei tuoi interessi e comportamenti.

Esistono alternative ai social tradizionali? Emergono piattaforme più trasparenti come Mastodon o BeReal, che utilizzano algoritmi più semplici o feed cronologici, ma hanno ancora un’adozione limitata.

Come faccio a sapere se sono in una bolla informativa? Controlla se vedi raramente opinioni che contraddicono le tue convinzioni o se i tuoi feed social sono molto omogenei nei temi e nei punti di vista presentati.

Verso una maggiore consapevolezza digitale

L’intelligenza artificiale nei social media ha due volti. Da un lato, ci permette di scoprire nuovi contenuti, connetterci con chi condivide interessi simili, vivere esperienze digitali più fluide. Dall’altro, può diventare una lente deformante, che ci mostra solo una parte della realtà, quella che ci fa rimanere.

Per affrontare questa complessità, serve consapevolezza. Serve una alfabetizzazione digitale che aiuti le persone a riconoscere i meccanismi sottostanti, a interrogarsi sul perché vediamo certi contenuti e non altri. Come abbiamo discusso nel nostro approfondimento su fake news e guerra informativa, la capacità di pensiero critico diventa sempre più essenziale.

Solo così possiamo passare da utenti passivi a cittadini digitali critici. Il futuro dei social media non dipende solo dalla tecnologia, ma da come decidiamo di usarla e regolarla. E da quanto vogliamo comprendere ciò che si nasconde dietro ogni scroll.

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