“Ciao prof, puoi spiegarmi meglio questo paragrafo?” scrive uno studente in una chat scolastica. Il messaggio è chiaro, educato, senza errori. Forse anche troppo. Lo ha scritto con ChatGPT. Bastava inserire l’idea iniziale e il sistema ha fatto il resto, trasformando un pensiero grezzo in una frase fluida e ben costruita. Ma quanto di quella voce è davvero sua?
L’intelligenza artificiale generativa sta lentamente modificando il modo in cui comunichiamo. I testi scolastici, le email di lavoro, perfino i messaggi personali iniziano ad assumere un tono sempre più simile, più levigato, più “corretto”. Ma anche più uniforme. La promessa di chiarezza e semplicità porta con sé il rischio di un appiattimento linguistico.
Le parole suggerite da un’AI, spesso, tendono alla neutralità. Il tono diventa impersonale, i verbi più prevedibili, le strutture più lineari. Questo non è sempre un male: aiuta chi ha difficoltà a esprimersi, supporta studenti e lavoratori, rende più accessibili certi contenuti. Ma nel lungo termine, può anche influenzare la varietà e la ricchezza della lingua.
L’omologazione è sottile. Un assistente virtuale suggerisce “gentile cliente” invece di “carissimo”, “inoltriamo la richiesta” invece di “ti passo la palla”. E lo fa ovunque, in ogni contesto: dalla burocrazia scolastica alle chat con i colleghi. Il risultato è una comunicazione che suona sempre più simile a se stessa.
Un altro aspetto riguarda i bias linguistici. L’IA è addestrata su testi già esistenti, che riflettono culture, gerarchie e stereotipi. Se non corretti, questi modelli rischiano di amplificare forme sottili di discriminazione. L’articolo “Bias Algoritmici: IA e la Discriminazione Invisibile” approfondisce questo tema e mostra quanto il linguaggio dell’AI debba essere osservato con attenzione.
Allo stesso tempo, la trasformazione comunicativa offre anche opportunità. L’AI può aiutare a superare le barriere linguistiche, facilitare l’accesso a contenuti complessi, offrire strumenti a chi ha difficoltà con la lingua scritta o orale. In contesti scolastici, può rappresentare un ponte tra studenti con background diversi. In azienda, può velocizzare la comunicazione interna e rendere più chiari i processi.
Secondo un articolo pubblicato su The Guardian, l’uso quotidiano dell’AI nel linguaggio potrebbe contribuire a standardizzare certe espressioni, ma anche a rivelare nuove dinamiche culturali. Le parole che scegliamo, o che ci vengono suggerite, modellano il nostro modo di pensare, e questo vale anche quando a suggerirle è un algoritmo. (Fonte: https://www.theguardian.com/technology/2023/may/01/how-ai-is-changing-language-communication)
In definitiva, l’AI non sta solo scrivendo al posto nostro. Sta modificando il tono delle conversazioni, influenzando il vocabolario quotidiano, suggerendo modi di dire, cancellandone altri. È un processo lento, silenzioso, ma profondo.
Saperlo riconoscere è il primo passo per mantenere la nostra voce autentica, anche in un mondo dove scrivere è sempre più facile. Perché ogni parola, anche quella suggerita da una macchina, racconta qualcosa di noi.
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